Alex ha dieci anni e vive a Belfast in una
casa fredda e spoglia con la sua giovane madre, una donna precipitata da
tempo negli abissi di una grave depressione. Alex è un bambino solo ma
ha un amico speciale. Ruen. che nessun altro può vedere e che si
manifesta sotto forme diverse e quasi mai rassicuranti. Ruen spesso lo
aiuta, ma a volte gli chiede anche di fare cose cattive. Anya è una
psichiatra infantile. La sua è una professione molto dura, soprattutto
per chi come lei ha perso una figlia in circostanze oscure. Anya è
incaricata di occuparsi del caso di Alex. Perché Alex dice di parlare e
interagire con misteriose presenze che si manifestano soltanto a lui. E
perché dopo il tentato suicidio della madre il bambino è rimasto solo.
Sulla psichiatra e sul suo giovane paziente incombe lo stesso destino.
Ruen infatti ha chiesto ad Alex di fare qualcosa di sconvolgente.
Qualcosa che Alex, stavolta, non vuole fare...
Si può scrivere un thriller senza suspense e senza scatenare nemmeno un briciolo di paura, un fantasy senza inserire elementi soprannaturali, addentrandosi nei meandri della psiche e riuscendo a comporre comunque un romanzo vincente?
Si può scrivere un thriller senza suspense e senza scatenare nemmeno un briciolo di paura, un fantasy senza inserire elementi soprannaturali, addentrandosi nei meandri della psiche e riuscendo a comporre comunque un romanzo vincente?
Carolyn Jess-Cooke, già autrice di “I diari dell’angelo custode” ci è
riuscita, e quando rivedeva le bozze di questo libro molto particolare era pure
incinta di 9 mesi! Impresa a parte, il libro si legge nonostante non abbia
ritmi super accelerati, e nonostante manchi (finalmente) di una storia d’amore
reale.
Con “Cose che il buio mi dice” il lettore è sempre sull’orlo della
verosimiglianza, indeciso se credere o non credere, cercando appigli per abbracciare la
realtà, o segnali per cedere all’incubo.
Il racconto procede a due voci, quella di Alex, undici anni, bambino
che vive, orfano di padre, con la madre dal precario equilibrio psicofisico e
già aspirante suicida; e quella di Anya, la sua psichiatra, che ha perso da
poco tempo la figlia Poppy tredicenne e che sopravvive con l’ombra della sua
presenza.
Alex dalla morte del padre ha un amico “immaginario” (forse), Ruen,
demone erpicatore che gli dice cosa dire e cosa fare e sul quale ha riposto la
sua fiducia; Anya crede di sentire, ogni tanto, la musica che suonava la sua
Poppy prima di buttarsi dal balcone.
I due abissi della loro sofferenza e del loro immaginario si parlano, si riconoscono nel loro lato irrazionale, nel
richiamo che entrambi hanno verso la morte.
A salvarli, come sempre, l’amore ma anche la speranza, il sogno coltivato di una vita migliore dove poter condurre un’esistenza magari non perfetta, ma proiettata verso un futuro possibile.
A salvarli, come sempre, l’amore ma anche la speranza, il sogno coltivato di una vita migliore dove poter condurre un’esistenza magari non perfetta, ma proiettata verso un futuro possibile.
Le due voci sono gestite magistralmente dall’autrice, che si cala
molto bene nella testa dell’undicenne e della psichiatra. I personaggi
secondari – pochi in realtà – sono ben delineati e non delle semplici comparse.
Non si cede mai alla banalità o al compiacimento né per quanto riguarda i temi
né per quanto riguarda la scrittura.
Insomma un buon libro, con pochi segreti, ma una bella storia che si
arricchisce mano a mano di particolari fino a un finale davvero movimentato e
appassionante.
Finale non del tutto positivo ma possibilista,
con qualche ombra sul cammino.
Giudizio da 0 a 5: 4 (non mi sarebbe dispiaciuta un po’ di tensione in
più).
Consigliato a chi: vuole un romanzo con una storia importante, fluido
ma profondo, che fa dormire sogni tranquilli.
Potresti leggere anche: Shining, di Stephen King (lo so, il paragone
non regge, ma l’aspetto psicologico sì).
Curiosità: il libro si apre con un brano musicale, una melodia che
l’autrice sentiva insistentemente durante la stesura del romanzo e che ha
inserito nella trama.
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